Nel partecipare ad un funerale ci si potrebbe aspettare una atmosfera cupa e contrita, di respirare un dolore palpabile e una sorta di disperazione di fronte ad un fatto che, umanamente, non ha né senso né risposte. E il fatto era effettivamente drammatico: la morte di un uomo pieno di vita, padre di cinque figli e nonno di undici (quasi dodici) nipoti dopo un mese di lotta con il covid. Un mese drammatico fatto di speranze alternate a dubbi e preoccupazioni, di lontananza, di messaggi e di qualche rara foto inviata col telefono, di silenzi sempre più lunghi e affannosi e, negli ultimi giorni, di una agonia che sembrava interminabile. Ed invece, avvicinandosi all'Abbazia di Morimondo dove lunedì pomeriggio si sono svolti i funerali del nostro amico Giuseppe Albetti, la sensazione che si aveva era tutt'altra. La stessa cosa è accaduta – forse addirittura in modo più eclatante e sbalorditivo – al cimitero di Abbiategrasso dove la sua salma è stata tumulata nella nuda terra fra i canti alpini che lui amava e che per innumerevoli volte aveva guidato “alla sua maniera”. Si trattava di una letizia difficilmente spiegabile. O meglio, non comprensibile se non sapendo chi era Giuseppe, la sua storia, l'Avvenimento che lo aveva conquistato: il cristianesimo attraverso il carisma di Don Giussani e del Movimento di Comunione e Liberazione. Uno dei primi, di quelli che avevano conosciuto bene il Fondatore. Lo stesso carisma che molti di noi, attraverso e grazie a lui, hanno incontrato nei sessanta anni successivi. Sia chiaro, Il dolore dello strappo e della mancanza – per tutti noi e a maggior ragione per sua moglie Giovanna e tutta la sua famiglia – resta e resterà, forse anche più acutamente che in questi giorni convulsi, per lungo tempo. Forse non passerà mai. Ma quella "illogica allegria" – era il titolo di uno degli ultimi eventi "zoom" che la nostra comunità di cui Giuseppe era un pilastro aveva organizzato qualche settimana fa – resterà una memoria indelebile nelle nostre menti. Insomma il suo funerale è stato uguale identico alla sua vita: pieno di canti, di amici e di bellezza. Don Eugenio Nembrini ha iniziato così la sua omelia: "Siamo qui per festeggiare un anniversario infinitamente più serio, più bello, più interessante più radicale dell’anniversario di matrimonio. Anzi la ragione del suo matrimonio, la ragione del suo vivere, la ragione per cui ci alziamo tutte le mattine, la ragione per cui ci arrabbiamo quando le cose non vanno bene, che proviamo dolore quando c’è qualcosa che non va o esplodiamo di gioia quando la vita ci corrisponde. La ragione vera. E non ho usato un termine a caso: siamo qui a festeggiare un anniversario grande. Mi ha sempre colpito che i santi si festeggiano nel Dies Natali che non è il giorno della nascita, ma il giorno della morte, cioè il giorno della vera nascita". La parola "festa" è stata una decisamente ricorrente in questa giornata. Per noi Giuseppe è sempre stato esattamente come lo ha descritto Don Eugenio: come Pietro nel brano di Vangelo in cui, dopo la Resurrezione, gli Apostoli riconoscono il maestro dopo aver gettato le reti nel lago ed averle ritratte sulla barca stracolme di pesci. Pietro che si getta in acqua per raggiungere la riva appena Giovanni gli dice "E' il Signore". Ecco, Giuseppe era così, uno che non aveva paura di buttarsi, di seguire il fascino della Verità ovunque lo incontrava. Trasmettendolo – e trascinandosi letteralmente dietro – tanti altri. Da questo, dalla riconoscenza sovrabbondante per il bene di cui era stato oggetto lui, veniva la sua attenzione per la carità che da sempre ha contraddistinto la sua vita e di cui il Portico della Solidarietà è stato solo l'ultimo regalo della sua vulcanica intraprendenza. Una carità che la pandemia non ha fermato anzi, ha forse reso ancora più urgente. Per questo nel dolore del distacco, Giuseppe resta per noi una presenza e una testimonianza di come la vita sia resa bella ed interessante dall'incontro totalizzante con Gesù attraverso i volti umani che Dio mette sulla strada di ciascuno. E sempre per questo di fronte all’inspiegabile bellezza di queste ore non potevano non tornarci alla mente i suoi amici Andrea, Sandro e Sante che avrà incontrato ora in Paradiso e che insieme a lui hanno dato un’impronta significativa alla presenza di Comunione e Liberazione ad Abbiategrasso. Con Giuseppe è stato evidente ciò che è la morte: non la fine di tutto ma l’inizio di una vita nuova vissuta pienamente. La sua vita terrena è stata spesa seguendo il carisma di don Luigi Giussani come fattore decisivo della sua esistenza, incontrato e sperimentato da tutti coloro che lo hanno incontrato dentro un abbraccio senza limiti. Ora non c’è un ricordo da trattenere o a cui attaccarsi, ma semplicemente c’è da vivere come lui, certi che il Mistero è incontrabile anche oggi in volti come il suo, esattamente come lui lo aveva incontrato a diciassette anni.
CIAO GIUSEPPE, TRA IL DOLORE DELLO STRAPPO E L´ILLOGICA ALLEGRIA CHE RESTERÁ INDELEBILE
16/04/2021 - Roberto, Andrea, Franco, Gianni, Massimo e tanti altri amici di Giuseppe