STORIA RIVISITATA DEI CARRARMATI SOVIETICI

12/11/2021 - Fabio Libretti

Egregio signor direttore, mi consenta solo un poco di spazio sulla pagina della sua pregiatissima testata, per chiarire un paio di punti relativi all’articolo a firma del signor Wolf, citato come uomo di vasta cultura oggi residente in quel di Abbiategrasso, ma originario di Budapest. Fermo restando il massimo rispetto per le opinioni del signore in questione e dei suoi ricordi in merito alle vicendedi cui forse potrebbe essere anche stato testimone, credo che sia opportuno, ad onor del vero, integrare tali ricordi con qualcosa, di magari più concreto. Come da tempo si sussegue, in occasione della ricorrenza dell'anniversario della presunta rivolta, che il mondo intero (o meglio la parte più occidentale) ricorda come la rivoluzione ungherese, con la trita e ritrita storia dell’arrivo dei carri armati sovietici e del conseguente presunto genocidio dei presunti rivoluzionari, forse a questo mito che aleggia da tempo, bisognerebbe introdurre qualche correttivo, che viene non dai meandri della memoria di qualche presunto testimone, bensì dalla certezza di carte e documenti storici. Vede egregio signor direttore, l’auto implosione dell’Urss, per mano mirata dei soliti noti, ha determinato una sequela infinita di problemi, che ancora oggi stentano nel trovare una soluzione, ma contemporaneamente, ha determinato, quello che per gli storici (quelli seri e non prezzolati), risulta essere una sorta di novello bengodi. A cosa mi riferisco? Semplicemente all’apertura degli archivi del periodo sovietico. Al di là della propaganda, dall’isterismo collettivo, per l’identificazione di documenti falsi, costruiti ad arte (quali ad esempio quelli del collaboratore di Gorbaciov sui fatti di Katyn ed altro ancora) le carte ritrovate in quell’ambito sui fatti d’Ungheria parlano decisamente di altro. O meglio, in estrema sintesi definiscono tale atto come la prima rivoluzione colorata, mai intentata dalle forze della reazione di stampo occidentale, anti sovietica e filo fascista. A questo riguardo, resta estremamente interessante conoscere una delle figure più discusse e più controverse di quel momento storico, quella di Imre Nagy. Mi si consenta, egregio signor direttore, una breve divagazione sul personaggio in questione, ricordando alle sue lettrici ed ai lettori, come il signor Orban, capo indiscusso della nazione ungherese, a fine dicembre 2018, senza alcun ripensamento di sorta, procede nel rimuovere la statua di quello che ancora oggi qualcuno definisce uno dei padri della rivoluzione ungherese del 1956. La stranezza di tale atto è che l'attuale governo ungherese, capitanato dal signor Orban, che mi pare essere tutto tranne che bolscevico, teoricamente avrebbe dovuto alzare statue in ogni dove al signor Nagy. Al contrario, quella più significativa, quella collocata nella piazza del parlamento a Budapest, viene letteralmente sradicata dalla propria sede, tra lo stupore dei cittadini della capitale ungherese. Al di là delle convinzioni del signor Orban e del suo entourage, pare che, non tutto della "fantomatica rivoluzione ungherese", sia chiaro e del tutto trasparente, che i tanto strombazzati principi di democrazia e di libertà fossero in realtà mossi da personaggi ambigui e fortemente impredicati di tutto, tranne che di democrazia e libertà. Il sito web del PCFR, da molto tempo riporta la testimonianza di un ex ufficiale sovietico, testimone diretto di quei fatti. Il colonnello a riposo Boris Bratenkov ricorda come il liberale Nagy, per sfuggire al regime fascista ungherese di Miklós Horthy, nel 1930 riparasse in Unione Sovietica. Quest'ultimo, dopo un periodo di lavoro al Comintern, nella cerchia di Nikolaj Bukharin, nel 1933 fosse “arruolato” nello OGPU (Direzione politica statale unificata) e poi, nel 1938, dopo un arresto di qualche ora e su intervento della famosa 4a Sezione della Direzione centrale del NKVD (Commissariato del popolo agli affari interni), iniziasse la sua attività di delatore contro gli esponenti ungheresi del Comintern. Sorvolando su tutta la fase che va dalla liberazione dell'Ungheria a opera dell'Armata Rossa, nel 1944, fino alle vicende del 1955 e 1956, con le prime manifestazioni “studentesche” e gli striscioni che inneggiavano all'amicizia sovietico-ungherese, è forse il caso di accennare soltanto al colpevole iniziale arretramento del contingente sovietico, che spianò la strada alle prime stragi compiute dagli ex nazisti e hortysti ai danni degli esponenti comunisti. A questo riguardo, resta noto a tutti che la moglie dell'allora ambasciatore sovietico a Budapest, Jurij Andropov, assistette dalle finestre dell'ambasciata ad alcuni di quegli atti di “liberalismo democratico” e che per l'efferatezza di tali atti, efferati omicidi ed uccisioni, perse la ragione e non riuscì più, fino alla morte, a metter piede fuori di casa”. Semplicemente, la brutalità di tali omicidi da parte degli uomini delle libertà e della democrazia provenienti dalle file degli insorti, costarono la vita, tra il 24 e il 29 ottobre, a circa 350 soldati sovietici e a una cinquantina di loro famigliari. Resta il caso, sommariamente, di puntualizzare quanto avvenne, sulle radici di un'insurrezione organizzata all'insegna della “libertà dal giogo sovietico”, alla cui testa si distinse tra gli altri, per l'appunto, l'ex agente del NKVD Imre Nagy e che fino al giorno d'oggi viene presentata come una “sanguinosa repressione sovietica”. Delle oltre 2.700 vittime di quella “rivolta per la libertà”, oltre 700, tra le giornate dell'ottobre e quelle di novembre (allorché il Ministro della difesa sovietico Georgij Žukov, lanciò l'operazione “Vikhr-Turbine”) furono soldati dell'Armata Rossa e le altre centinaia, furono i comunisti e gli esponenti del governo ungherese assassinati e appesi a testa in giù agli alberi di Budapest, dai fascisti dell'ex regime hortysta addestrati in Germania. Delle evidentemente legittime richieste di una popolazione ungherese ancora sofferente per un Paese agricolo praticamente distrutto dalla guerra, approfittarono gli antesignani delle odierne “rivoluzioni colorate” nelle repubbliche ex sovietiche: gli ex capi filonazisti, addestrati dai servizi statunitensi, inglesi e tedeschi. Non è ormai più negato da nessuno, tranne dal signore che lei pubblica sul settimanale in data 05/11/2021, che l'operazione “Focus” fosse stata messa a punto negli USA, curata dall'attaché militare britannico a Budapest e la direzione operativa giungesse dalla Germania. In loco, i caporioni fascisti facevano aperto riferimento alle vecchie organizzazioni hortyste “Spada e croce”; “Europa libera”, “Guardia bianca”, “Unione dei cadetti”, “Accordo di sangue” e altre. Tra le richieste dei “democratici”, lanciate già prima dell'ottobre, c'erano anche quelle dell'abolizione dell'insegnamento della lingua russa e della soppressione della festa della liberazione dal fascismo (per qualche ragione, viene in mente la “romantica” euro Majdan della Kiev del 2014…). Non fu forse casuale che nei primi giorni dell'insurrezione, fossero liberati di galera oltre 10.000 ex fascisti e che moltissime vittime, appartenenti al governo, al partito comunista e agli organi della sicurezza, fossero di origine ebrea: tanto per ricordare da che parte stessero gli “insorti di questa strana democrazia”. Molti dei dati e delle circostanze che le ho qui riportato, sono tratti dall’intervista a Janos Kadar (uomo che in prima battuta si schierò con i pseudo insorti, ma successivamente, visto chi realmente vi era dietro a questi signori, alla paternità acquista dalle frange filo naziste di questa improbabile rivoluzione e dai loro barbarici atti, fu lui stesso nel chiamare i carri armati sovietici) tratti dal sito “Histoire et Societe”. Ungheria 1956, un ottimo esempio dunque, per le “euro rivoluzioni” o "rivoluzioni colorate" degli Anni Duemila... “Maidan” ne è stata un superbo copia ed incolla del precedente ungherese e molto probabilmente tale situazione si è replicata con le medesime modalità, a Beirut, solo pochi giorni fa. I fatti storici, insomma, hanno la necessità di avere concretezza e se continuiamo nel ripetere la menzogna, per molte volte nel tempo, anche le chiacchiere di paese forse diventeranno certezze. Il pensiero non è assolutamente mio, ma di un signore che di nome faceva dottor Goebbels.

Fabio Libretti

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Gentile lettore, il suo intervento nel «poco di spazio» (parole sue) che ci ha chiesto di occupare si commenta da sé. La Storia è estremamente complessa e gli storici difficilmente riescono a mantenersi imparziali. L’autore dell’articolo, primo di una serie, che l’ha motivata a reagire come un fiume in piena è persona estremamente equilibrata e senza assolutamente secondi fini. Occorre rispetto della Storia, indubbiamente, e anche senso della realtà. E mi chiedo quale senso della realtà (libera da ideologismi) ci si possa aspettare da chi non ha nemmeno il senso della misura.</i>