Gentile direttore,
ogni anno in questi giorni ci si prepara, credenti e non, a quella data che è la commemorazione dei defunti. L’atmosfera della stagione autunnale che avanza , il clima sempre più freddo, le giornate uggiose, le piogge che, intermittenti, ci spingono ad osservare il cielo nuvoloso nella speranza che possa ancora apparire il sole, oppure ci tiene “attaccati” alle previsioni meteo trasmesse alla TV, o registrate sui telefonini sempre nelle nostre mani, per il timore di inondazioni che distruggono abitazioni, o campi che dovrebbero offrire il frutto del lavoro, necessario per ricavare i prodotti tipici di questi mesi.
Non è poesia sentimentale, ma realtà della nostra esistenza e della fragile natura umana. Ci si reca al cimitero (koimetérion, luogo del riposo, del ”sonno “, riposo eterno), si depone un fiore, si recita una preghiera, si lascia libero corso al ricordo ed alla fantasia: quanto bene ci hanno dato i nostri cari quando erano con noi, necessità affinché anche noi raccogliamo la loro eredità, impegnandoci a trasmettere il loro insegnamento a chi ci sta accanto.
La profondità del raccoglimento, nel silenzio che ci fa grandi, ("seul le silence est grand tout le reste est faiblesse", de Vigny) ci permette di superare il pericolo di una certa forma di egoismo: i "nostri" ... cari. Per primo , io, avverto questo pericolo. Quest’anno mi riprometto quello che non ho mai fatto: osservando quelle tombe riuscirò a fare uno sforzo e vedere “in esse” la presenza delle numerose morti, le vittime nel corso dell’anno?L’elenco, lo sappiamo tutti bene, sarebbe troppo lungo solo ad accennarlo: dalle guerre alle catastrofi naturali, dalle colpevoli mani insanguinate di chi si macchia di femminicidi ad altro.
Forse un giorno anche nei nostri cimiteri, come in alcuni, soprattutto dei paesini di montagna, molte volte tanto curati, ci sarà un cippo che riporta non solo i nomi dei caduti della Prima e Seconda Guerra Mondiale, ma la sintesi di coloro che ho appena indicato. Non solo il tanto caro “al milite ignoto”, ma alle altrettanto care, forse dimenticate, vittime dell’anno in corso. Tra queste, concludendo, vorrei ora ricordare quelle che mi fanno sempre tanto soffrire, un chiodo fisso che non mi dà pace: le morti bianche, le vittime sul lavoro.
Quante sono, e continueranno ad essere? Quel papà, quella mamma, quel giovanotto, quella signorina che il mattino uscivano da casa (un’ultima carezza, un’ultimo bacio) per portare poi a casa il classico pezzo di pane; ma a casa non sono tornati. Posto vuoto alla mensa domestica, assenza dal focolare "spento" (i nostri vecchi di un tempo, mi ha insegnato mamma quand'ero fanciullino, lasciavano sul tavolo un piatto vuoto, la sedia pronta per la loro “visita”.)
Vorrei avere la capacità del grande tenero poeta, Pascoli, le cui parole imparavo a memoria (oggi purtroppo dimenticate) per incidere nelle mie quello che non so dire, mentre mi rimangono: Requiem aeternam .. ανάπαυσean αιώνιαn... anapausean aiònian. La loro lux aeternam luceat ... splenda a noi, oggi e sempre: ne abbiamo bisogno.
IL LORO RICORDO
21/10/2024 - Umberto Masperi